Roberto Baggio oggi tra il buddismo, la Panda e le oche di legno

2022-04-21 06:24:25 By : Mr. Drew yao

Non c’è il pallone, o almeno non è più così centrale, nella nuova vita di Roberto Baggio, che ha da poco compiuto 55 anni (il 18 febbraio) e resta uno dei più grandi campioni, e tra i più amati, del nostro calcio. Lo abbiamo scoperto qualche tempo fa quando la figlia Valentina ha pubblicato sui social una sua foto al lavoro in campagna con la fedele Panda 4×4. «Spacco la legna, uso il trattore, l’escavatore, la sera sono così stanco che mi gira la testa» aveva raccontato Roby, che vive con la famiglia ad Altavilla Vicentina, in provincia di Vicenza, vicino a dov’è nato. In questi giorni è tornato a raccontarsi nella prima puntata dello show di Alessandro Cattelan su Netflix, Una semplice domanda.

«Come si fa ad essere felici?» è quella che sta al centro dell’incontro a casa di Baggio. Mica tanto semplice come domanda. Per l’ex calciatore, la risposta è nel buddismo, a cui si è avvicinato ai tempi della Fiorentina. «Nell’87 – racconta – grazie a un amico di Firenze. All’inizio ero molto scettico, sono andato a sentire 60 ragazzi che recitavano un Nam myoho insieme e ho pensato: “Qua sono tutti da ricoverare”. Poi è successo che siccome stavo male, mi ci sono buttato anche io e non ho mai smesso. Erano davvero tanti anni fa, quando ne ho parlato a casa mi hanno detto di tutto, “Hai perso la testa” e cose così…». «Il buddismo – aggiunge – insegna che la felicità è dentro di noi, serve un mezzo per tirarla fuori e io l’ho trovato attraverso la pratica buddista».

«La foto della Panda? È stato una sorpresa anche per me» risponde l’ex calciatore durante l’intervista. «Un mio amico mi ha mandato quell’immagine ed è stata una sorpresa, non capivo da dove proveniva, chi poteva averla scattata. È stata una roba inaspettata, io quella macchina la uso per andare nel bosco».

Più inaspettato quel che si trova nel suo «laboratorio». «Dove saldo o intaglio il legno», spiega. «Ho la passione per le cose vecchie da caccia». Oche, papere e anatre in legno, così tante da poter pienare un paio di stanze. Molte le colleziona, alcune le crea con le sue mani. Ma ci sono anche specchietti per le allodole (in senso letterale, il vero strumento per attirarle) e altri reperti. «Una volta – dice Baggio – la gente andava a caccia per sfamare la famiglia, dietro ognuno di questi oggetti c’è una storia».

«Del calcio mi manca giocare,  era la vita, però come tutte le cose belle arriva un giorno in cui devi smettere. Io sono stato un po’ costretto perché alla fine era diventato problematico anche allenarmi, ma non ho rimpianti: sono arrivato fino in fondo». Così parla della fine della sua carriera. «A San Siro per Milan-Brescia, la mia ultima partita, mi sono quasi sentito sollevato, venivo da troppi anni di dolore. Poi ho preso un aereo e sono andato in Argentina. Avevo bisogno di stare da solo, non volevo più vedere nessuno».

«Non credo sia stato semplice essere i miei figli – conclude Baggio -. Quando portavo mio figlio a giocare non vi dico i commenti della gente… era imbarazzante per me, figuriamoci per lui. All’inizio andavo sempre a vederlo, poi ho smesso proprio per non sentire certe cose».

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