Fortis: il miracolo dell'industria italiana. Ma per Ucimu la flotta non è mai stata così vecchia - Industria Italiana

2021-11-22 13:12:33 By : Mr. Raymond Peng

Le tre "M" contro le tre "F". Cioè prodotti metallici e medicinali contro moda, cibo e forniture. Il made in Italy cambia volto ed è sempre più riconosciuto nel primo gruppo di eccellenze piuttosto che nel secondo. Perché l'industria diventa sempre più 4.0 grazie all'aumento delle macchine integrate e interconnesse. Il che dimostra il successo dell'industria e poi degli incentivi alle imprese e alla transizione 4.0. Il dato emerge dalla sesta edizione dell'indagine sul parco macchine utensili e sistemi produttivi installati nell'industria italiana, condotta da UCIMU, l'associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot, automazione e prodotti ausiliari.

Non è tutto oro quel che luccica: nonostante i dati positivi sulla proattività delle industrie italiane, questo non è bastato a ringiovanire un parco macchine ancora obsoleto. In effetti, l'età media è cresciuta negli ultimi cinque anni a livelli mai visti prima. E gli investimenti si sono polarizzati (essendo guidati principalmente da grandi aziende) dando luogo a una frattura tra industrie innovative e statiche, che sono per lo più PMI. Ma sono criticità che non devono destare eccessive preoccupazioni, perché siamo nel bel mezzo di “un miracolo manifatturiero italiano che dura almeno dal 2014 e di cui non troverete riscontro da nessuna parte – afferma Marco Fortis, economista, Direttore e Vicepresidente della Fondazione Edison e docente di Economia Industriale e Commercio Estero presso l'Università Cattolica di Milano - dal 2014 al 2018 il valore aggiunto della manifattura è aumentato del 3% annuo.La produttività dell'industria manifatturiera è cresciuta più di tutti i Paesi dal 2014, come si è modernizzata la nostra industria. Siamo nel pieno di una rivoluzione epocale che non vediamo perché le analisi sono sempre ultraventenni e non colgono ciò che sta accadendo negli ultimi tempi”.

Secondo i risultati preliminari di UCIMU, la diminuzione della produzione nel settore delle macchine industriali è stata del -23,7%, per un valore di 4.970 milioni di euro. Le aziende leader del settore sono per lo più di piccole e medie dimensioni. Nella top ten solo tre superano i 300 milioni di fatturato (Salvagnini, che produce macchine per la lavorazione della lamiera; Marposs, produttore di macchine industriali per automotive e aerospaziale; PrimaIndustrie, produttore chiavi in ​​mano di sistemi laser per applicazioni industriali) e il decimo poco più di 100 milioni, Cms Spa è attiva nei macchinari per la componentistica di veicoli civili e militari. In generale, le aziende hanno registrato riduzioni generalizzate delle vendite comprese tra il 20 e il 30% rispetto al 2019. Non mancano tuttavia situazioni di stabilità (Salvagnini, Buffoli, Mario Carnaghi) e anche alcuni casi (Ficep, Promau) di aumento delle vendite.

Sono le industrie fornitrici, ma anche quelle indagate da Ucimu nella sua inchiesta sul parco macchine italiano. L'indagine, condotta di norma ogni dieci anni, segue di cinque anni la precedente edizione con l'obiettivo di misurare gli effetti prodotti dagli strumenti di politica industriale per la transizione 4.0 messi in atto dalle Autorità di Governo.

"Le misure a sostegno dell'ammodernamento del parco macchine e per favorire la transizione 4.0 dell'industria manifatturiera nel Paese hanno prodotto effetti interessanti ma non ancora sufficienti a garantire la trasformazione digitale del metalmeccanico", commenta Barbara Colombo, presidente di UCIMU- sistemi da produrre e amministratore delegato di Ficep. Per questo le misure attualmente operative, come il credito d'imposta per gli acquisti di nuove macchine tradizionali e con tecnologia 4.0, devono proseguire oltre il 2022. “Anche in considerazione del crescente divario tra le imprese innovative, per lo più imprese con almeno 100 dipendenti, e aziende bloccate in tecnologie di vecchia concezione, tipicamente di ridotte dimensioni, chiediamo alle autorità governative di attuare queste misure strutturali, in modo da consentire alle aziende di fare piani di investimento a medio-lungo termine, attraverso i quali programmare l'acquisto".

Inoltre, il presidente lancia un appello per estendere l'operatività della misura del credito d'imposta per la formazione (che oggi, nel computo, include anche il costo del formatore) "così da garantire alle aziende un corretto supporto per l'aggiornamento del personale. Solo così gli investimenti in tecnologie di nuova generazione garantiranno davvero all'azienda il miglioramento della produttività e l'efficienza necessaria per vincere la sfida della competitività sullo scenario internazionale».

L'indagine è stata condotta su un campione rappresentativo di oltre 2.000 aziende (con più di 20 dipendenti) e fornisce una panoramica di: numero, età media, grado di automazione/integrazione, composizione e distribuzione (per settore, dimensione aziendale, aree territoriali) di le macchine utensili e i sistemi produttivi dell'industria del Paese, al 31 dicembre 2019. In tal senso, l'indagine fotografa lo stato dell'industria manifatturiera (meccanica) italiana, proponendo indicazioni sul grado di competitività dell'intero sistema economico nazionale. Le unità produttive censite sono pari al 15% dell'universo delle imprese del settore; impiegano il 17% dei dipendenti occupati.

"Per contestualizzare meglio i dati emersi dall'indagine è bene considerare alcuni numeri di scenario - afferma Stefania Pigozzi, responsabile del Centro Studi Ucimu - Secondo i dati dell'ultimo censimento effettuato dall'Istat nel 2017, l'industria metalmeccanica del Paese ha subito un ulteriore ridimensionamento rispetto a quanto già rilevato nel precedente censimento (2011): è diminuito il numero di stabilimenti che nel 2017 erano 15.241 (-3,7%) ed è diminuito anche il numero dei dipendenti occupati, fino a 1.150.000 unità (-3,1%)”.

Oggetto dello studio sono i mezzi di produzione, suddivisi in diverse categorie, ovvero macchine utensili per la lavorazione dei metalli per asportazione e deformazione; macchine con tecnologie non convenzionali (come laser o 3d); robot e bracci meccanici e altri sistemi di produzione. «L'universo di riferimento - spiega Pigozzi - sono 14mila aziende con 1,1 milioni di addetti. Le variabili su cui è stato stratificato il campione sono 4 classi dimensionali (20, 50, 100, oltre 200 addetti), 6 settori di attività e 6 aree geografiche (Piemonte, Lombardia, Triveneto, Emilia Romagna, Centro, Sud e Isole). Alle aziende è stato chiesto di indicare per ogni unità produttiva locale in Italia quante e quali macchine avevano a fine 2019, qual era l'anzianità di servizio e qual era il livello di automazione e integrazione delle macchine installate”.

Ebbene, non ci sono grossi cambiamenti in termini di composizione del parco macchine, nel senso che la famiglia più numerosa è quella delle macchine utensili per asportazione truciolo, seguita dalle macchine deformatrici, poi altri sistemi, robot e macchine non convenzionali. “Ma siamo passati dalle 305mila macchine del 2014 alle 371mila di oggi, con un incremento del 21,6% - dice Pigozzi - La crescita è notevole nonostante il settore metalmeccanico stia vivendo da tempo un progressivo ridimensionamento del numero di fabbriche”. Tuttavia, l'acquisizione di nuove macchine non ha coinciso con un massiccio smantellamento dei vecchi sistemi. Quindi c'è stato un ampliamento del parco macchine e solo una parziale sostituzione dei sistemi di produzione già installati.

Per quanto riguarda l'età, rispetto al dato già negativo del 2014, c'è stato un peggioramento: l'età media delle macchine è passata da 12 anni e 8 mesi a 14 anni e 5 mesi, (nel 2005 l'età media era di 10 anni e 5 mesi ). «Si tratta dell'età più alta mai registrata dal 1975 - afferma Pigozzi - Questo dato dimostra che l'industria italiana non è in grado di abbassare l'età media della propria flotta. E non ci riesce perché è ancora grande il numero di aziende che non hanno fatto investimenti nonostante gli incentivi 4.0. Per queste aziende si può presumere che, costrette a tenere in servizio vecchie macchine, anche per lavori strategici, abbiano investito in interventi di retrofitting». Ma l'invecchiamento dipende, secondo l'analista, anche dalla volontà delle aziende di mantenere in funzione, per alcune tipologie di lavorazioni (marginali e non strategiche), macchinari datati che svolgono ancora la loro funzione. "E con il fatto che la sostituzione dei macchinari è ancora un fenomeno piuttosto limitato ad alcune categorie di aziende che approfondiremo più avanti".

Ciò che è evidente è un aumento significativo delle macchine con più di vent'anni: il 47,9% della flotta ha questa età (rispetto al 26,7% del 2014). Questi sono i dati che indicano che non c'è stato lo smantellamento di vecchi macchinari. L'altro dato molto importante che testimonia il successo della politica degli incentivi è che gli investimenti sono aumentati: infatti, la quota di macchinari con meno di 5 anni è passata dal 13,1% al 16,1%, segno che le aziende hanno ripreso a investire. Non ci sono sorprese nemmeno per quanto riguarda l'età media per tipologia di macchina: le macchine più vecchie sono quelle di asportazione e deformazione che sono rispettivamente di 14 anni e 9 mesi e 14 anni e 8 mesi. Relativamente più giovani sono i robot e le macchine che lavorano con tecnologie non convenzionali (laser, plasma, waterjet, manifattura additiva) che hanno un'età media di 12 anni e 5 mesi.

Un indicatore della progressiva trasformazione e ammodernamento del parco macchine è riscontrabile nelle relative quote: quella relativa ai robot è passata dal 4,5% al ​​10,3%. E i robot insieme alle tecnologie non convenzionali rappresentano il 27% del parco macchine totale, in aumento di dieci punti rispetto al 1999. E i robot sono anche quelli che abbasseranno l'età media: tra le macchine con meno di cinque anni, quelle tradizionali sono solo 15%, quelli non convenzionali il 20% e i robot il 30%.

Infine, ci sono altri dati che dimostrano il successo delle politiche di Industria 4.0: progresso tecnologico incorporato e diffusione dell'automazione e dell'integrazione. «Valutiamo la prima - continua Pigozzi - misurando la differenziazione tra macchine convenzionali e macchine a controllo numerico, registrando nelle seconde un forte balzo, dal 32% al 54%. Ma il dato più importante si riferisce alla diffusione dell'automazione e dell'integrazione, sono stati individuati diversi livelli, dall'automazione delle singole macchine, all'integrazione tra più macchine fino alla realizzazione di sistemi 4.0, ovvero l'interconnessione digitale dei sistemi. Evidente la crescita del terzo livello dal 2,5% al ​​5,6%, ma anche del secondo livello dal 4,8 al 12,6%”.

Come si è comportato il settore metalmeccanico in base alle dimensioni? Qui emerge la criticità maggiore: gli investimenti si concentrano soprattutto nelle grandi aziende, se si guarda alle aziende con oltre 200 addetti, la flotta aumenta dal 20 al 25% (in termini di peso sul totale), anche il range tra 100 e 200 i dipendenti vedono la quota passare dal 13 al 14,5%, mentre le aziende che hanno sofferto di più sono quelle che hanno tra i 20 ei 49 dipendenti che hanno visto il peso delle loro macchine passare dal 45,1% al 39,1%. "Questa analisi suggerisce due considerazioni: la prima - evidente - che le grandi aziende hanno più di un quarto del totale dei macchinari installati e sono le aziende che attualmente investono di più in nuovi sistemi produttivi - conclude Pigozzi - la seconda più "sottile" è una suddivisione ideale tra le aziende con meno di 100 dipendenti e quelle più grandi".

Per quanto riguarda i settori, infine, la categoria che detiene la quota maggiore di macchine è la meccanica (34,9%) seguita dai prodotti in metallo (26,1%) e al terzo posto i trasporti (21%), dove si registra anche una diffusione di robot e altri sistemi produttivi rispetto ad una minore di macchine utensili in senso stretto, che denota la maggiore automazione di questo settore. In aumento anche il peso dei settori “a minor utilizzo di macchine utensili”: materiale elettrico ed elettronico (8%); produzione e prima trasformazione dei metalli (6,5%); strumenti di precisione ed elettromedicali (3%).

Infine, in termini di quote territoriali, spicca la Lombardia con il 28%, seguita dal Triveneto con il 18,4%, l'Emilia Romagna detiene ancora il 15,1%, il Piemonte il 13%. Al sud e isole 13,7% e al centro 11,9%. Il dato sul Mezzogiorno è molto interessante perché indica che gli incentivi (rafforzati in quest'area territoriale) hanno sortito l'effetto sperato.

Nelle pieghe dei dati si comincia a intravedere quel miracolo industriale di cui parlava Fortis all'inizio. «Il periodo pre-pandemia è stato caratterizzato da una stagione di incentivi - racconta il professore - Il piano industria 4.0, poi impresa 4.0 hanno segnato in modo straordinario la storia della nostra economia in un modo che ancora fatichiamo a vedere. Mai nella storia dell'euro gli investimenti in macchinari sono cresciuti al tasso del 6,6% annuo per un intero quadriennio. Una crescita che ha portato il peso dell'industria manifatturiera a pesare 70 miliardi di euro a fine 2018, pari al 22% degli investimenti totali, ma se guardiamo solo a macchinari e mezzi di trasporto, il peso raggiunge il 38%». questi investimenti che hanno consentito la crescita del valore aggiunto del manifatturiero del 3% annuo nello stesso quadriennio, con il Veneto i cui "investimenti fissi lordi sono aumentati dell'8% nel manifatturiero o del 5,5% in totale, quando la Cina ha segnato il 5,8% . È ora di smetterla con la storia che l'economia italiana è cresciuta meno di tutte in 20 anni: se guardiamo a questo lasso di tempo, non capiamo cosa sta succedendo negli ultimi 10 o 5 anni». Il trend di crescita degli investimenti fissi lordi è evidente anche in altre regioni. Lombardia ed Emilia Romagna sono cresciute di oltre il 6% annuo in un quadriennio. Come il Lazio, mentre la Puglia ha segnato l'8% e la Campania il 10,5%.

E ancora, il valore aggiunto del commercio, dei trasporti e del turismo è cresciuto più di Francia e Germania, sempre in termini di media annua su quattro anni. “Quindi la produttività dell'industria manifatturiera è cresciuta più di tutti i paesi dal 2014, perché la nostra industria si è modernizzata. I fattori di successo di questo boom sono in due elementi: i pacchetti 4.0 e l'innovazione portata dai giovani imprenditori. Si dice da almeno un decennio che il passaggio generazionale distruggerebbe il settore perché non c'erano nuove generazioni in grado di gestirlo. Non è così perché le nuove generazioni hanno portato la capacità di sfruttare le tecnologie dirompenti, hanno portato nuove forme organizzative, esperti di social network, a cui Industry 4.0 ha alzato un pallone per fare una schiacciata. E tutti i numeri ci dimostrano che siamo nel pieno di una rivoluzione epocale - continua Fortis - e i macchinari sono il fulcro degli investimenti nella manifattura, che sta cambiando radicalmente”.

Ci sono delle criticità: le grandi aziende che si sono mosse prima e l'età dei macchinari «ma non le drammatizzerei, perché in un contesto in cui l'Italia ha attraversato due crisi pazzesche si è comunque verificato un cambiamento - dice Fortis - Con la Pnrr ora sarà possibile puntare sulle PMI che non hanno avuto la tranquillità o le informazioni adeguate per capire come investire.D'altronde se Industria 4.0 nascesse con il ministro Padoan andrà a mendicare qualche decimale di debito pubblico , oggi siamo di fronte a un'iniezione di liquidità di 200 miliardi di euro, che servirà a disegnare gran parte del prossimo futuro dell'Italia.Ora mi aspetto grandi risultati e mi auguro che parte di queste risorse vengano utilizzate per portare le aziende verso l'ecologia e transizione al digitale che si fa anche con i macchinari”. E quanto alle Pmi che non hanno ancora modernizzato i propri macchinari, «hanno partecipato all'ammodernamento dei macchinari delle aziende più grandi. Produrre le macchine delle grandi aziende italiane. Che a parte i grandi robot che sono tedeschi o giapponesi, si procurano il made in Italy, dalle macchine per l'imballaggio a quelle per il trattamento dei metalli e delle plastiche».

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