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2022-06-25 01:07:15 By : Ms. Sentar Smart

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Un carico di legno diretto verso Banjul fermo ad un chekchpoint - Foto: Lucia Michelini ®

Il Senegal e il Gambia, due paesi dell’Africa Occidentale, sono tra i principali esportatori al mondo di legno di palissandro tagliato illegalmente. Questa attività di contrabbando sta causando numerose vittime e indebolendo l’ambiente locale, ciò per soddisfare la domanda del mercato asiatico.  

Le piante in questione vengono principalmente dalla Casamance, regione meridionale del Senegal dove il clima è tale da consentire alla vegetazione di crescere rigogliosa. Tuttavia, il taglio incontrollato delle foreste ha un effetto deleterio sul territorio e gli ecosistemi sono messi sotto pressione su più fronti: con una minore copertura vegetale il suolo è meno protetto dall’azione erosiva dell’acqua e del vento, la biodiversità è chiaramente minacciata e la capacità di assorbimento di anidride carbonica e il ruolo tampone nei confronti del cambiamento climatico vengono meno. Anche a livello comunitario i riscontri sono nel complesso negativi: nonostante i pochi guadagni che i boscaioli possono trarre da questa attività economica, un ambiente senza piante è complessivamente più povero, in grado di fornire meno prodotti forestali non legnosi, come frutta e selvaggina, e di sicuro meno interessante agli occhi di un potenziale turista. 

Tra le piante più minacciate vi è il Pterocarpus erinaceus, ossia il palissandro senegalese, o keno nella lingua locale mandingo. La resistenza del legno e la sua resina scura, che conferisce al tronco delle striature molto particolari, fanno sì che questa specie sia altamente ricercata. Da un lato, il palissandro è usato dalla popolazione del posto come legna da ardere e per scopi terapeutici (dalla corteccia si ricava un infuso officinale) e, dall’altro, il mercato internazionale lo richiede in grandi quantità. 

La Cina rappresenta uno dei principali acquirenti e secondo una recente inchiesta della BBC (BBC Africa Eye, 2020) solamente tra il 2017 e il 2020 ben 300.000 tonnellate di questo legno, dal valore pari a 100 milioni di dollari, sarebbero state esportate dal Gambia verso Pechino, dati che fanno classificare il Gambia come uno dei primi cinque esportatori mondiali di palissandro. Infatti, anche se il paese ha pressoché esaurito le proprie scorte di questo legno da molti anni, fa da stato intermediario e consente il trasbordo del legname dalla Casamance all’estero. 

Come è possibile? Lo sfruttamento illegale delle foreste in Casamance è un problema incancrenito che ha origini lontane e, nonostante in Senegal sia in vigore il Code forestier dal 1998, che regola il taglio e il commercio del legname, vietando rigorosamente l'esportazione del palissandro in quanto specie protetta, tale norma non è sempre rispettata e viene aggirata spesso e volentieri. 

Per avere un’idea dell’attualità nonché brutalità dei fatti, il 10 aprile scorso gli agenti della Brigata Forestale senegalese hanno scoperto un gruppo di presunti trafficanti di legname intenti a tagliare delle piante nel dipartimento di Medina Yoro Foula, uno dei più poveri della Casamance. Un ragazzo è stato ucciso da un proiettile degli ufficiali, mentre gli altri uomini sono riusciti a scappare lasciandosi alle spalle i carretti e gli asini che dovevano essere utilizzati per il trasporto dei tronchi. 

Recentemente, il 18 giugno scorso, è invece uscita la notizia che la Svizzera ha aperto una procedura per crimini di guerra contro un suo connazionale accusato da giugno 2019 di aver saccheggiato il palissandro della Casamance e di averlo esportato illegalmente in Gambia.

Banjul, Aprile 2022 - Quando imbocchiamo la Trans-Gambia, la strada che attraversa il piccolo paese africano circondato dal Senegal, sono le 9 di mattina. Nonostante sia ancora presto, il caldo dà già alla testa e nell’aria si può ancora sentire l’odore acre dei rifiuti bruciati all’aperto la sera prima. 

La nostra meta è Foni, un’area del Gambia confinante col Senegal meridionale e teatro degli scontri di marzo 2022 che hanno visto l’esercito senegalese battersi contro i cosiddetti ribelli del Movimento delle Forze Democratiche della Casamance (MFDC). 

In Senegal, infatti, è in corso uno dei più vecchi conflitti del continente africano. Il MFDC combatte da una quarantina d’anni per l’indipendenza della Casamance (la regione senegalese più ricca in risorse naturali) e nonostante i vari tentativi di negoziato le ostilità persistono, tant’è che a inizio 2022 le tensioni sono riprese con un nuovo vigore soprattutto lungo il confine tra i due paesi. A marzo decine di famiglie senegalesi e gambiane hanno dovuto lasciare le loro abitazioni per rifugiarsi all’interno del Gambia. 

Percorrendo la lunga highway è facile rendersi conto di come la popolazione locale viva veramente con poco: agricoltura di sussistenza e bestiame. Piccoli orti e alberi da frutto, piante di mango e anacardi, qua e là qualche palma da cui viene estratto il famigerato olio. Lungo la carreggiata donne e bambini vendono carbone prodotto sul posto per pochi euro al sacco.  

A causa del traffico della periferia di Banjul, le strade dissestate e gli interminabili posti di blocco della polizia, ci vogliono tre ore abbondanti per fare appena un centinaio di chilometri. “I checkpoint servono alla polizia gambiana per sorvegliare il traffico delle numerose strade sterrate che portano nella zona controllata dai ribelli”, spiega Ousmane, la guida locale che mi accompagna.  

La fitta vegetazione che caratterizza questa parte del Gambia garantisce un nascondiglio ideale agli esponenti del MFDC e fa di quest’area frontaliera un sito altamente poroso. Seguendo piste secondarie difficilmente sorvegliabili, persone e merci possono circolare senza troppe difficoltà tra i due paesi. Come il legno, contrabbandato dalla Casamance verso la Cina attraverso il porto di Banjul, capitale del Gambia. 

Un funzionario del Ministero dell'Ambiente, del Cambiamento Climatico e delle Risorse Naturali del Gambia, intervistato in un secondo momento e che preferisce rimanere anonimo, conferma l’itinerario dei tronchi trafficati illegalmente, completando che il legno può provenire anche dalla Guinea-Bissau.

E all’origine dei recenti conflitti di quest’anno ci sarebbe proprio il legno. Infatti, il 24 gennaio scorso, a sud del villaggio gambiano di Bwiam, un camion carico di legname è stato intercettato dai militari appartenenti alla missione della Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale; l’autista, non volendosi fermare, ha imboccato una pista verso la zona sotto controllo dai ribelli scatenando così il conflitto (fonte). 

“Si dice che a sostenere il commercio illegale di alberi ci siano gli indipendentisti, ma qua in Gambia sappiamo tutti che anche le autorità statali di ambo le parti sono complici”, racconta la guida. Leggendo la stampa internazionale si interpreta che a trarre giovamento dal traffico illegale di legname siano i ribelli del MFDC. In realtà dietro a questo business disonesto si cela un copione molto articolato dove gli attori in campo sono numerosi. Sia il MFDC che le autorità statali sarebbero implicate nello sfruttamento degli alberi, come anche la popolazione locale, spesso coinvolta nel duro lavoro di taglio manuale del legname che garantisce un piccolo sollievo alla povertà cronica che attanaglia questi posti (Evans, 2022). 

“I camion circolano principalmente col buio, è difficile vederli di giorno”, continua Ousmane, ed effettivamente durante l’intero tragitto non ne incrociamo neanche uno.  

Ci fermiamo a Bwiam, appena 5 chilometri dal confine con la Casamance, dove abbiamo appuntamento con un informatore locale. L’uomo dice di aver partecipato ai recenti colloqui di mediazione tra ribelli, esercito senegalese e una delegazione della Comunità di Sant'Egidio. In questa vicenda, infatti, anche l’Italia sta giocando da anni un ruolo importante nella facilitazione del dialogo tra le parti. 

“Lo vedi questo?”, nel dirlo l’uomo apre la mano e mostra un proiettile. “È dell’esercito senegalese”. Nonostante il conflitto riguardi il Senegal meridionale, quest’anno l’esercito senegalese ha attaccato anche vari villaggi del Gambia con lo scopo di smantellare le basi dei ribelli. “Le tensioni hanno costretto molti abitanti di entrambi i paesi alla fuga. I giornali parlano di circa 6000 rifugiati, ma sicuramente sono di più”. 

Dalle parole degli sfollati si percepisce timore nei confronti delle forze armate e questa versione stride con quanto si avverte a Dakar, capitale del Senegal, dove sembra piuttosto che grazie alle operazioni militari i villaggi siano stati messi in sicurezza dai ribelli. Ciò che è certo, è che queste persone hanno perso tutto.  

Purtroppo, come se non bastasse, vari criminali locali hanno sfruttato la confusione generale legata al conflitto per prendere d’assalto i veicoli e derubare i viaggiatori diretti verso Ziguinchor (Casamance). Il Dipartimento delle Nazioni Unite per la Sicurezza e Protezione dissuade da ogni tipo di viaggio lungo le strade nazionali e sul sito della Farnesina www.viaggiaresicuri.it si può leggere “Nella regione meridionale della Casamance, compresa fra Gambia e Guinea-Bissau, si trascinano gli effetti di un trentennale conflitto di matrice indipendentista. L’utilizzo delle strade secondarie, e tanto più di sentieri non asfaltati, è sconsigliato per la presenza di mine e per gli atti di banditismo”. 

All’ora del tramonto riprendiamo la strada per Banjul e come in una profezia che si avvera ecco comparire i primi camion carichi di tronchi diretti verso ovest, probabile destinazione il porto della capitale gambiana. Alberi enormi, dal tronco rosso e bianco. Sembra quasi che sanguinino dalla resina rossa che cola copiosa dalle loro ferite ancora fresche. 

N.B.: l’autrice ringrazia i vari gambiani e senegalesi che si sono offerti di accompagnarla e aiutarla nella realizzazione di questo reportage. 

Sono Lucia Michelini, originaria di Belluno, classe 1984. Dottoressa di ricerca in Ecologia, attualmente mi occupo di cooperazione allo sviluppo ed educazione. Sono convinta che la via per un mondo piu’ giusto e sano non possa che passare attraverso la tutela del nostro ambiente e la promozione dell’istruzione. Per questo cerco di documentarmi e documentare, dare un piccolo contributo per spiegare che di fatto siamo tutti nella stessa barca e ci conviene remare assieme. Tra gli strumenti che porto con me, penna e macchina fotografica, fedeli compagne di viaggio necessarie per catturare la preziosa diversità culturale che ancora si puo’ percepire andando alla scoperta del mondo. Ah si’, non mangio animali da dieci anni e questo mi ha permesso di dimezzare il mio impatto ambientale e risparmiare parecchie vite.

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